Lo psicologo si accorge se un paziente mente? Home > Psicoterapia come funziona > Lo psicologo si accorge se un paziente mente “Dottore, ma lei si accorge se un paziente mente?” È una domanda che ogni tanto mi viene fatta. L’altro giorno, per esempio, ero in terapia e un ragazzo giovane me l’ha posta durante il colloquio — in realtà, tipo nei primi 5 minuti. Mi ha incuriosito, mi ha attivato una sorta di lampadina nella testa. È stato molto divertente, anche perché abbiamo scherzato su questa cosa. Però, al di là dell’aneddoto in sé, mi capita di riflettere su questa domanda. Le premesse fondamentali sulla menzogna in terapia Personalmente, ci sono alcune considerazioni da fare. La prima è che, all’interno della terapia, si dovrebbe evitare la menzogna, ovviamente. Perché, se si altera volontariamente il racconto, questo non fa altro che allontanare dalla potenziale risoluzione del problema. La seconda premessa è che esistono diversi tipi di menzogne, diversi tipi di bugie, diciamo così. Al di là degli esperti in materia come Paul Ekman, che hanno costruito la loro carriera sullo studio delle menzogne e del loro mascheramento, io, in maniera molto più semplice, le divido in due categorie: Le bugie dette in maniera conscia — quelle che, nel linguaggio comune, vengono definite vere e proprie menzogne. Le bugie dette in maniera inconscia — quelle che raccontiamo senza renderci conto che si tratta di bugie, ovvero rappresentazioni della realtà molto distanti dalla verità. Bugie consapevoli: cosa succede quando il paziente mente volontariamente Il primo tipo, cioè le bugie consapevoli, dovrebbe ovviamente essere evitato nella stanza di terapia. Nel caso me ne accorga, però, non penso abbia senso smascherare. Nel senso di mettere all’angolo e dire: “Mi hai mentito, adesso lo ammetti, devi raccontarmi la verità, devi ammettere di aver sbagliato,” eccetera. Tendenzialmente, non è utile. Imporre una verità o mettere all’angolo la persona crea rigidità e ostacola il processo terapeutico. Se noto delle incongruenze, o se il modo in cui mi viene raccontata una cosa mi fa presumere che non sia del tutto veritiera, magari faccio una domanda in più. Cerco di capire meglio. Chiedo: “Guarda, non mi torna questa cosa. Fammi capire meglio.” Ma sempre rimanendo possibilista. Perché rimanere possibilisti ed esserlo davvero è parte importante del lavoro terapeutico. Bugie inconsapevoli: quando il paziente crede sinceramente nella propria narrazione Per quanto riguarda le bugie inconsce, quelle che la persona racconta a sé stessa e in cui crede davvero, spesso è proprio lì che si annida buona parte del problema. La terapia funziona anche attraverso il tentativo di rinarrare una storia che la persona ha raccontato a sé stessa con determinate spiegazioni — talvolta molto distanti dalla realtà. In qualche modo, quindi, bugie, menzogne, alterazioni o spiegazioni fallaci rispetto a ciò che è realmente accaduto diventano materia di lavoro terapeutico. La rinarrazione di queste bugie — che spesso sono inconsapevoli — diventa efficace proprio perché permette di dare un nuovo senso alla storia. Il ruolo del terapeuta: non giudice ma guida Non si tratta, in questo caso, di portare una verità assoluta, come se il terapeuta fosse in possesso della realtà ultima dei fatti. Si tratta di costruire una realtà funzionale alla percezione, all’esperienza e al vissuto del paziente. Il terapeuta non presume di essere l’esperto della vita del paziente. Presume invece di essere esperto di quel particolare tipo di problema, di quel sintomo specifico, e di saperlo affrontare nel modo più utile possibile. Ma lo fa partendo sempre dal racconto, dall’esperienza e dal vissuto che il paziente porta in seduta. Come il terapeuta si relaziona alla menzogna consapevole Se nel primo caso (quello delle bugie consce) le menzogne sono strumentali, quindi usate per alterare in modo esplicito la realtà, e il terapeuta se ne accorge, ciò che può fare non è smascherare ma cercare di capire perché sono state usate. E fare in modo che la persona si senta a proprio agio, fino a potersi aprire. Come si lavora terapeuticamente sulle bugie inconsce Nel secondo caso, quello delle bugie inconsce, cioè dei racconti che una persona fa a sé stessa per dare significato alla propria vita, si lavora con il processo di rinarrazione, di risignificazione degli episodi, degli eventi e del loro scorrere. Tutto questo con l’obiettivo di cambiare punto di vista, di assumerne uno più congruo, più funzionale e più vero rispetto al bisogno portato dal paziente. Conclusione: la menzogna in terapia come strumento di esplorazione Se dobbiamo ragionare su questo secondo aspetto, nella stanza di terapia si ha sempre a che fare con le bugie — quelle inconsce, quelle disfunzionali, quelle che necessitano di essere ripunteggiate, riorganizzate e rinarrate per non diventare più un ostacolo, ma una potenziale via di guarigione. Contattaci e parlaci del tuo problema Ti chiameremo entro 24 ore per ascoltare la tua storia e fissare un primo appuntamento. Ti garantiamo un'analisi professionale di cause, opportunità e soluzioni in 3/4 incontri. La tua richiesta non può essere inviata correttamente. La tua richiesta è stata inviata correttamente. Nome Cognome Email Telefono +39 IT Il campo SMS deve contenere tra i 6 e i 19 caratteri e includere il prefisso del paese senza usare +/0 (es. 39xxxxxxxxxx per l'Italia) ? Ti chiameremo entro 24 ore per ascoltare la tua storia e fissare un primo appuntamento. 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