Continuiamo la nostra mini-serie sugli stereotipi della psicoterapia e della psicologia.
In terapia ci va solo chi ha problemi gravi? No, ed ecco perché
In questo articolo ragioniamo su un altro concetto: “In terapia o in psicoterapia ci va solo chi ha dei problemi in qualche modo gravi”. Rispetto ai temi trattati negli altri contenuti in merito agli stereotipi sulla psicoterapia su questo non sono per niente d’accordo. Nel senso che ci sono perlomeno due grossi aspetti per cui non concordo con questo tipo di affermazioni.
1. Tutti abbiamo problemi, ma non tutti scegliamo la terapia
Il primo è che è vero: in terapia va chi ha problemi, ma anche chi non va in terapia ha dei problemi. Nel senso che tutti noi abbiamo dei problemi. Tutti noi ci troviamo ad affrontare delle difficoltà nella vita, tutti noi ci troviamo di fronte alla vita che a volte ci sbatte in faccia fatiche, imprevisti, situazioni complicate che ci mettono in difficoltà, ci mettono in crisi. Ciò che determina l’intraprendere o meno un percorso di terapia non è avere un problema (perché questi li abbiamo tutti), ma scegliere un particolare tipo di via per affrontarlo.
Come dico sempre, scegliere il supporto di un consulente può essere utile per provare a riflettere, per avere punti di vista diversi, per lavorare con un esperto che, di fronte a una situazione particolarmente ostica, può essere di supporto. Come dicevo nel video precedente, senza però cadere nel rischio della delega, cioè senza dare al terapeuta la responsabilità di risolvere il problema al posto nostro, evitando di agire o di prenderci la responsabilità che invece spetta alla persona che vive il problema.
2. La salute mentale non è solo assenza di malattia
Il secondo motivo è che l’idea che in terapia si debba andare solo se si ha un problema grave è sbagliatissima. Questo perché la nostra salute mentale non è legata solo all’assenza di malattia (quindi, potenzialmente, di un disturbo o di un problema grave), ma anche – e soprattutto – alla costruzione di un benessere.
Recentemente ho fatto un intervento in collaborazione con UNICEF Italia, che ti consiglio di andare a vedere, dove parlo proprio di questo tema e dove do anche qualche spunto interessante sul concetto di salute mentale. Ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2019, ha riportato che 970 milioni di persone hanno affrontato un disturbo mentale, senza però indicare l’entità o la gravità del problema. Ma 970 milioni di persone sulla popolazione mondiale sono un’enormità: vuol dire circa una persona ogni otto.
La stessa UNICEF ha dichiarato che un adolescente su sette, cioè tra i 10 e i 19 anni, ha un disturbo mentale diagnosticato. Questo per dire cosa? Che la salute mentale è una componente imprescindibile del nostro benessere, del nostro equilibrio, della nostra capacità di instaurare relazioni efficaci e della nostra capacità di vivere una vita appagante.
Quando è il momento di iniziare un percorso terapeutico?
Quando si fa riferimento a un percorso psicoterapeutico o alla consulenza di uno psicologo o psicoterapeuta (psicologo e psicoterapeuta non sono esattamente la stessa cosa, ma su questo ho fatto altri video), l’intervento non deve essere richiesto solo nel momento in cui il disturbo o la difficoltà diventino invalidanti per la nostra vita o ostativi per il nostro benessere. Si può iniziare un percorso anche quando ci si rende conto di non vivere a pieno o di non stare completamente bene. In altre parole, quando non si riesce a coltivare o a lavorare sul proprio benessere.
La salute mentale, infatti, non è solo assenza di malattia, ma soprattutto costruzione di benessere. Quando si va dallo psicoterapeuta, si può chiedere aiuto per un disturbo grave – e qui sarebbe interessante approfondire cosa si intenda per “grave” – ma si può anche arrivare in terapia semplicemente rendendosi conto che, da soli, non si riesce a fare un passo avanti significativo. Ad esempio, si può avere un problema che non risulta invalidante, come gli attacchi di panico, che magari non impediscono del tutto di uscire con gli amici, di stare bene con il proprio compagno o compagna, con il marito o la moglie, ma limitano comunque la qualità della vita.
Rinunce quotidiane: un campanello d’allarme
Quante volte, infatti, di fronte a un problema che non riteniamo invalidante, mettiamo in atto delle rinunce? In questo modo, barattiamo o cediamo una parte del nostro benessere per evitare di affrontare una possibile difficoltà.
Faccio un esempio: se ho paura di guidare in autostrada, posso decidere di non prenderla più. In questo modo evito l’ansia o il rischio di un attacco di panico, e tendenzialmente sto bene. Ma sto davvero bene? Il problema è invalidante? No, perché magari trovo strade alternative per andare al lavoro. Però, cosa sto rinunciando? Sto rinunciando a una componente importante del mio benessere.
Conclusione: prendersi cura del proprio benessere
Quindi, chi va in terapia ha problemi, sì, ma ce li ha anche chi non ci va. E devo intraprendere un percorso di terapia solo quando ho un problema grave? Assolutamente no. Devi iniziare un percorso di terapia ogni volta che ti rendi conto che stai rinunciando a una parte del tuo benessere, o che potresti stare meglio, ma non riesci a capire qual è la strada da percorrere per raggiungere quel risultato.
Fammi sapere se questo discorso ti torna. Fammi sapere se hai fatto un percorso di terapia, come ti sei trovato, quali sono le tue considerazioni e riflessioni. Oppure, se hai sempre avuto il desiderio di iniziare, ma sei stato frenato dal dogma o dall’etichetta, magari con questo discorso ti sentirai un po’ più confortato nell’idea di prenderti cura del tuo benessere. A presto!