Ho deciso di fare una miniserie di tre articoli sugli stereotipi della psicoterapia. Il primo riguarderà l’idea che, alla fine, “il dottore non mi può aiutare, devo farcela da solo”. Il secondo affronterà la convinzione che la terapia sia solo per affrontare problemi gravi. Il terzo esplorerà l’idea che la terapia sia un percorso indefinito e potenzialmente infinito. Questi sono tre stereotipi o falsi miti, chiamali come preferisci. Il concetto è che sono tutte convinzioni in qualche modo errate o che richiedono comunque un approfondimento per poter essere comprese, padroneggiate, e, ovviamente, anche utili al nostro benessere, al nostro percorso verso il benessere.
Il Primo Stereotipo: “Devo Farcela da Solo”
Partiamo dal primo che ho menzionato, cioè l’idea che, alla fine, “dottore, io devo aiutarmi da solo”. Questa è un’affermazione che si sente spesso, capita durante la prima telefonata con la persona che mi chiede aiuto, piuttosto che durante il primo colloquio o nella fase iniziale della terapia. A volte emerge anche in un momento più avanzato del percorso, quando la persona, in maniera quasi sconsolata, quasi rassegnata, dice: “Alla fine, dottore, devo aiutarmi da solo”. Sono d’accordo, è verissimo. Io penso che questa affermazione contenga una grande verità sul percorso di terapia, nel senso che lo psicologo o lo psicoterapeuta non è una persona a cui delegare la responsabilità dei propri problemi. Anzi, il processo di cura parte proprio dall’assunzione di responsabilità nel provare a risolvere i propri problemi. Lo psicologo non è qualcuno a cui si va e si dice: “Bene, ho questo problema, facciamo un esempio, l’ansia o gli attacchi di panico, risolvili tu”. Non funziona così. C’è sempre una parte in cui chi soffre deve aiutarsi da solo, proprio perché è la sua vita e deve assumersi la responsabilità del proprio processo di cura e guarigione. Questo non significa scaricare il barile, né adottare una posizione poco operativa o concreta da parte dello psicologo, assolutamente no. Significa dare agency, cioè la capacità alla persona di fronteggiare la propria difficoltà tramite l’aiuto di un consulente, in questo caso lo psicologo.
Confronto con Altre Discipline
Questa è una cosa che in altri contesti, interventi e discipline è estremamente chiara, cioè l’idea che sia la persona che si rivolge a un consulente a doversi prendere cura di sé e a cavarsela da sola, o da solo in alcuni casi. In altri ambiti, la stessa idea di delega è invece completamente presente e scontata. Mi spiego meglio: se si ha a che fare con una disciplina medica, quindi ad esempio c’è un problema medico o un problema organico, si va dal medico e la relazione è estremamente verticale. Il medico è colui che sa, e il paziente, la persona che ha bisogno di aiuto, è colui che deve essere aiutato. Il paziente si pone nelle mani del medico, che interviene sul problema clinico, quindi non ha bisogno di conoscere, ad esempio, la storia della persona, le sue caratteristiche o il perché di un determinato comportamento. Magari ha delle idee o ipotesi su quale possa essere la causa del problema e dà delle indicazioni sulla cura. In qualche modo, dice al paziente ciò che deve fare e si aspetta che il paziente lo faccia. Premesso che anche qui c’è una agency, c’è un’assunzione di responsabilità da parte del paziente nel suo percorso di cura, la relazione è comunque caratterizzata da una verticalità. Il medico rimane in qualche modo “sopra” rispetto al paziente che chiede la consulenza.
La Relazione Terapeutica: Un Percorso Orizzontale
Nel percorso di terapia, questo sbilanciamento, questa verticalità, non esiste. Esiste solo nella misura della competenza del terapeuta, che può aiutare la persona, ma la relazione è orizzontale, non verticale. Il terapeuta è l’esperto del problema, ma c’è tutta una parte di relazione che deve essere costruita, approfondita e navigata, affinché poi sia il paziente ad assumersi la responsabilità. In altre discipline e contesti, questo meccanismo è estremamente chiaro. Provo a fare un esempio: se vai da un personal trainer, chiedi una consulenza e dici “I miei obiettivi sono perdere peso, mettere massa muscolare, tonificare questa parte o prepararmi per una gara”, l’idea di doversi assumere la responsabilità del risultato è già chiara nella mente della persona che si rivolge a questo tipo di professionista. Si pone già in una posizione attiva: ricevo un piano di allenamento, ma non posso sicuramente chiedere al personal trainer di fare l’allenamento al posto mio, quindi mi assumo questa responsabilità. Lo stesso vale se vado da un nutrizionista o dietologo perché voglio perdere peso o avere un piano alimentare più equilibrato. Chiedo aiuto al consulente, ma non mi aspetto che sia il nutrizionista a seguire il mio piano alimentare. So già, quando mi rivolgo a un professionista di questo tipo, che devo svolgere la dieta o seguire il regime alimentare da solo.
Il Confronto con la Relazione Medico-Paziente
Se si va dal medico, come ho detto prima, è un po’ diverso. Se si va dallo psicologo, molto spesso, siccome viene percepito come una figura a metà, è più difficile capire questo concetto. Tuttavia, è più simile all’esempio del personal trainer o del nutrizionista che a quello del medico, per due motivi: uno, perché la relazione è orizzontale; due, perché non ci si può aspettare che tramite l’applicazione della mera tecnica o strategia, o del mero percorso di terapia da parte dello psicologo, si possano ottenere risultati. Il principio di delega, se vogliamo, è vero soprattutto nell’ambito medico, ma non in quello psicologico.
Assunzione di Responsabilità nella Terapia
Questo cosa significa? Che è vero che devi cavartela da solo ed è altrettanto vero che lo psicologo è il tuo consulente, la persona a cui chiedi aiuto quando senti di avere una difficoltà che ha a che fare con un piano psicologico, emotivo, relazionale o cognitivo della tua vita. Ossia, hai qualcosa che non può essere risolto da un medico, da un nutrizionista, da un fisioterapista o da un personal trainer. Allora ti rivolgi allo psicologo per tutte quelle questioni che riguardano il tuo benessere mentale, un termine ampio ma efficace. Ti rivolgi al terapeuta, che avrà una sua autorevolezza nel guidarti all’interno del tuo percorso di cura, ma poi l’allenamento lo devi fare tu, la dieta la devi seguire tu, la cura di te stesso è una tua assunzione di responsabilità.
Conclusione: Il Ruolo del Terapeuta come Consulente
Questo per dire, come ho citato all’inizio dell’articolo, che sono assolutamente d’accordo con il concetto che “alla fine devo cavarmela da solo”, purché tu, in prima persona, lo abbia davvero compreso. Cavarsela da solo non vuol dire non fare riferimento a qualcuno, ma assumersi la responsabilità del processo di cura. Quando hai una difficoltà, ad esempio fisica, scegli un consulente; oppure vuoi fare un allenamento, scegli un consulente e chiedi il suo parere, chiedi il suo aiuto, e poi te la cavi da solo. Quando vuoi fare una dieta, chiedi il parere di un consulente e poi te la cavi da solo. Quando vai da uno psicologo o psicoterapeuta, chiedi un parere, scegli il professionista, scegli la figura di riferimento, e poi te la cavi da solo. Questo non vuol dire essere abbandonati, ma vuol dire assumersi la responsabilità della propria fatica, sia nello stare bene sia nello stare male.
Quindi, è uno stereotipo, sì, ma il terapeuta deve essere visto assolutamente come un consulente che ti aiuta a conoscere meglio te stesso, a ragionare su tematiche che magari sono difficili da affrontare in autonomia o che sono difficilmente comprensibili da soli. Cioè, nella propria testa, porti queste questioni all’interno della stanza, e attraverso la relazione con il terapeuta e le competenze del terapeuta, queste vengono approfondite, esplicitate, rese progressivamente sempre più chiare e consapevoli, in modo tale che poi sia tu a prenderti cura di te stesso.
“Dottore, me la devo cavare da solo”. Sì, assolutamente, ma puoi anche scegliere la consulenza di qualcuno.
La Tua Esperienza in Terapia
Fammi sapere se questo discorso ti è chiaro. Fammi sapere qual è stata la tua esperienza in terapia, se ne hai già svolta una o più di una, o se è qualcosa che ti ha sempre incuriosito ma che non hai mai intrapreso.
A presto.