Quando si chiude una terapia? Questo è un argomento ampiamente discusso in tutti i salotti della psicologia, ogni dottore ha il suo metodo e le sue variabili tramite le quali comprende qual è il migliore momento per chiudere. Alcuni ritengono che il percorso sia da chiudere nel momento in cui il paziente porta questo bisogno, altri affermano che il percorso deve essere chiuso solamente nel momento in cui il problema riportato risulta risolto infine altri ancora ritengono che il percorso sia da chiudere indipendentemente dal risultato finale, nel momento in cui le sedute diventano ridondanti quindi sono ripetitive e ci si accorge di vivere un momento di stallo e di blocco. Queste sono tutte considerazioni che hanno una loro legittimità, hanno il loro senso e devono essere considerate quando si valuta la chiusura di un percorso. Tuttavia la variabile che secondo me è più importante, ovvero l’elemento discriminante nel chiudere o meno un percorso, è la consapevolezza, da parte di entrambi terapeuta e paziente, che il paziente disponga di tutti gli strumenti necessari per continuare a far fronte alle proprie difficoltà o eventualmente a quelle future. Una volta che la cassetta degli attrezzi del paziente è completa allora quello è il momento per pensare ad una chiusura. Non è necessario che il problema specifico sia risolto poiché spesso questo esula dal controllo del paziente stesso, per esempio pensiamo alle dinamiche implicate in un cambio di lavoro, per il quale il paziente viene dal terapeuta per chiarirsi le idee sul da farsi. Il successivo lavoro può essere infatti svolto dal paziente in assenza del terapeuta a patto che lo stesso sia consapevole di possedere tutti gli strumenti necessari per farvi fronte.