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Pazienti ‘bidone’ quando non c’è motivazione alla psicoterapia

Chi Sono i Pazienti “Bidone”?

Parliamo dei pazienti “bidone”. Il termine è ironico, ma rende bene l’idea: si tratta di persone che in realtà non vogliono davvero essere pazienti. Non sono disposte a intraprendere un percorso psicologico o psicoterapeutico orientato al benessere e, di conseguenza, finiscono per far perdere tempo e denaro sia a sé stesse che al professionista.

Questo fenomeno può riguardare chiunque, anche inconsapevolmente. Alcune persone prenotano un colloquio ma poi fanno perdere le loro tracce, mentre altre partecipano a uno, massimo due incontri, per poi interrompere il percorso senza una reale motivazione.

Perché È Importante Riconoscerli?

Capire chi rientra in questa categoria è utile sia per i terapeuti che si trovano a gestire pazienti di questo tipo, sia per le persone che si riconoscono in questi comportamenti e si rendono conto di non essere realmente pronte a iniziare un percorso.

Se sei un paziente e senti di rientrare in questa descrizione, questo video potrebbe aiutarti a riorganizzare le idee e a chiederti cosa vuoi davvero da un percorso psicoterapeutico. Se sei un terapeuta, riconoscere tempestivamente questi pazienti può aiutarti a gestire meglio il tuo tempo e le tue risorse.

Le Tre Tipologie di Pazienti “Bidone”

Dalla mia esperienza clinica, ho individuato tre grandi categorie di pazienti che mostrano una scarsa motivazione alla terapia. Non ho la pretesa di essere esaustivo, ma questi profili rappresentano una buona parte dei casi con cui mi sono confrontato.

1. Il Paziente con Disponibilità Oraria Impossibile

Questo è il paziente che chiama con urgenza, dichiarando di avere un problema serio da risolvere subito. La richiesta è legittima, ma c’è un problema:

“Ho un problema serio, magari anche urgente. Non voglio sminuire la difficoltà di nessuno, ma posso venire solo in orari rigidissimi, ad esempio il giovedì delle settimane pari dalle 19:45 alle 20:45.”

Questa rigidità è già un segnale chiaro di scarsa motivazione. Ovviamente, sia il terapeuta che il paziente devono trovare un incastro di orari che funzioni per entrambi, soprattutto in un contesto privato. Un minimo di flessibilità è fondamentale.

Quando, invece, un paziente inizia a tergiversare troppo, dicendo di non avere mai tempo e di avere sempre qualcosa di più importante da fare, la motivazione inizia a vacillare.

Un esempio classico?

“Mi piacerebbe fare terapia, ma ho la lezione di Zumba.”

Senza nulla togliere allo Zumba, se la priorità rimane sempre altrove, è chiaro che il percorso terapeutico non è considerato essenziale.

2. Il Paziente “Non Ci Credo, Ma Vengo Lo Stesso”

Un’altra categoria molto frequente è quella del paziente che non crede affatto nella terapia, ma si presenta comunque in studio. La telefonata tipica suona così:

“Buongiorno, dottore. Ho un problema, ma in realtà non è nulla di che. A dirla tutta, non credo molto nel lavoro che fa. Anzi, se devo essere sincero, non ci credo affatto. Vengo solo perché mia moglie/marito/amico/collega mi ha detto di provare.”

Questo atteggiamento indica una bassa consapevolezza del problema, una scarsa percezione del proprio bisogno e, di conseguenza, una motivazione debole.

Se una persona si rivolge a un terapeuta senza alcuna fiducia nel processo, difficilmente otterrà dei benefici. La terapia funziona quando c’è un coinvolgimento attivo: senza fiducia e partecipazione, diventa solo una perdita di tempo per entrambi.

3. Il Paziente che Vuole Solo Sapere il Prezzo

Il terzo tipo di paziente chiama con un solo obiettivo in mente: sapere il costo delle sedute. La conversazione si svolge più o meno così:

“Buongiorno, mi chiamo Tizio e vorrei sapere il costo delle sedute.”

A questo punto, il terapeuta cerca di spiegare il tipo di lavoro che svolge:

“Dipende dal tipo di percorso. Se è una terapia individuale, il costo è X. Se si tratta di una terapia di coppia, è Y, perché il tempo e le risorse coinvolte sono diversi. Posso darle qualche informazione in più per aiutarla a capire meglio?”

Ma il paziente insiste:

“Sì, sì, ma quanto costa?”

Qui emerge un problema: il prezzo non può essere l’unico criterio per scegliere un terapeuta. Ovviamente, il costo è un fattore importante, ma valutare un professionista esclusivamente in base alla tariffa è riduttivo.

In alcuni casi, ci possono essere agevolazioni per chi ha difficoltà economiche, come tariffe calmierate basate sull’ISEE. Tuttavia, quando una persona vede solo il prezzo e non il valore del percorso, è probabile che non sia realmente pronta a impegnarsi nella terapia.

Un altro segnale di scarsa motivazione è quando il paziente, dopo aver saputo il costo, cerca di ottenere una consulenza gratuita:

“Va bene, allora già che ci siamo, mi darebbe qualche consiglio?”

Qui si entra in un territorio delicato: un terapeuta non può fornire una consulenza strutturata in pochi minuti di telefonata. Chi pensa di poter risolvere tutto con una semplice chiacchierata gratuita sta sottovalutando il lavoro psicoterapeutico.

Il Danno per il Terapeuta e per il Paziente

Se sei un terapeuta, avrai già capito che questi pazienti sono “ladri di tempo”. Non perché lo facciano con cattiveria, ma perché:

  1. Non ti permettono di lavorare seriamente, creando incastri impossibili e interrompendo il percorso prematuramente.
  2. Non si danno la possibilità di essere aiutati, sprecando un’opportunità preziosa per migliorare la loro vita.

Se invece sei un paziente e ti riconosci in una di queste descrizioni, è importante fermarti un attimo e riflettere:

  • Sei davvero motivato a iniziare un percorso?
  • Sei disposto a impegnarti e a dare alla terapia il giusto spazio nella tua vita?
  • Vuoi farlo per te stesso o solo per accontentare qualcun altro?

Conclusione: Fare una Scelta Consapevole

La psicoterapia non è un obbligo, ma una scelta. Se hai dubbi o incertezze, prenditi del tempo per chiarirti le idee prima di iniziare. Quando trovi le risposte giuste, sarai in grado di decidere se intraprendere un percorso terapeutico o meno.

Sia per i pazienti che per i terapeuti, riconoscere queste dinamiche è fondamentale per non perdere tempo e per garantire che la terapia sia davvero uno strumento di crescita e cambiamento.

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