Con il post di oggi andiamo un po’ indietro nel tempo, al giorno in cui sul treno diretto a scuola ho iniziato a leggere un libro che mi ha portato, dopo varie peripezie, a diventare psicoterapeuta.

Ricordo che quando ho scelto di iscrivermi alle scuole superiori ho seguito la massa: tutti i miei amici andavano in quella scuola e ci sono andato anche io. Penso che non ci sia niente di male, può essere anche positivo che in quel momento della mia vita fosse per me più importante l’aspetto sociale che l’aspetto prettamente formativo anche se da adulto mi rendo conto di quanti sono stati poi i limiti di una scelta di questo tipo.

Mi ricordo benissimo che dalla quarta superiore sul treno leggevo libri di Freud e Fromm, che sono le due persone che mi hanno affascinato e hanno catturato la mia attenzione. Leggendo questi libri ho iniziato ad essere attratto dalla psicologia e dall’idea che quegli studi fossero in qualche modo concreti e reali. All’epoca, data la mia età di 16/17 anni, sono rimasto estremamente affascinato anche dai molti studi di Freud sulla dipendenza ed in particolare sulla cocaina, che lui si era auto somministrato per poi scrivere un libro bellissimo che si intitola proprio “Sulla cocaina”. Sono rimasto affascinato non tanto dall’idea della cocaina ma da quanto la psicologia, secondo me, aprisse un mondo di ricerche di pensiero che andasse oltre il tabù.

Poi mi sono lanciato anche in altri tipi di letture, come “Totem e tabù”, un altro libro che consiglio sempre di Freud. Pian piano mi sono reso conto che la psicologia permetteva di andare oltre, di accedere a dei mondi che erano lì ed erano molto più concreti del semplice racconto perché si erano denudati del perbenismo, delle norme, dei costrutti e delle forme sociali. Per me questo è stato il significato che un libro come quello che ho appena citato ha avuto sulla mia formazione. Da lì ho iniziato a leggere di tutto. Sono stato affascinato, soprattutto all’inizio (anche se adesso mi interessa poco) dall’aspetto criminale o violento della psicologia. Ho iniziato a studiare dei libri sui serial killer, ho iniziato a leggere degli esperimenti di Zimbardo nel carcere di Stanford, e l’aspetto sociale ha iniziato ad attirarmi. Ricordo che durante le lezioni di elettronica ed elettrotecnica, di cui ero completamente disinteressato, io leggevo questi libri.

Una volta ottenuto il diploma ho fatto l’università, poi la scuola di specializzazione e progressivamente il mio interesse è mutato. Ho perso interesse nell’aspetto violento, criminale o eccessivo. Sono stato sempre più attratto dal tema della clinica, cioè della psicoterapia: non più l’aspetto sociale, quindi, ma l’aspetto clinico, l’aspetto della difficoltà o patologia mentale non in termini drammatici nè psichiatrici, ma in termini di benessere, ovvero di come aiutare le persone a risolvere problemi che possono essere esistenziali o sintomatologici, in funzione di una evoluzione.

Questo è quello che faccio all’interno della stanza di terapia, al di là che la persona venga con un sintomo di tipo psicologico, l’ansia, attacco di panico, la depressione, ecc… o che venga con un problema esistenziale: “Cosa faccio in questa situazione?”, “Non riesco a comprendere o gestire questi rapporti”, “Come mi muovo nella sfera lavorativa?”. La mia idea di psicoterapia, ciò che a me piace fare e ciò per cui mi sento portato perché vedo poi nella concretezza l’aiuto e il supporto che riesco a dare alle persone, consiste nel migliorare le alternative. Aumentare le alternative e rendere tutto progressivamente più nitido. Dico spesso all’interno delle sedute, dopo il primo incontro, che fare psicoterapia non significa delegare all’altro una decisione. Lo psicoterapeuta aiuta a rendere tutto più nitido, più comprensibile ed al tempo stesso più fruibile, facile, percorribile ma poi è la persona che una volta che sceglie il tragitto, lo percorre. Non può essere lo psicoterapeuta a farlo al suo posto.

A me piace dannatamente fare questo mestiere. Riuscire ad aiutare la persona nel farla sentire potente, capace e protagonista non solo della difficoltà, ma soprattutto del suo benessere. Penso che questo sia ciò che mi ha permesso di diventare lo psicoterapeuta che sono e di fare psicoterapia nel modo che ho scelto. Questo è un piccolo pezzettino di me che mi fa piacere condividere.

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