Ci sono situazioni in cui una persona sta male, magari sviluppa un sintomo psicologico, e le persone accanto a lei — quelle per lei importanti — si preoccupano. In questi casi, può succedere che venga consigliato un intervento psicologico o di rivolgersi a uno psicoterapeuta. Tuttavia, può capitare che la persona in questione non abbia interesse, intenzione o voglia di intraprendere un percorso psicologico.
Ad esempio, mi capita di ricevere telefonate in cui mi viene detto:
- “Mia madre, da qualche tempo, è particolarmente depressa e giù di morale, non la riconosciamo più, ma non vuole rivolgersi a uno psicoterapeuta.”
- “Il mio fidanzato (o la mia fidanzata) sta attraversando un periodo buio, soffre di ansia e attacchi di panico, ma non riesco a convincerlo/a a farsi aiutare.”
- “Sono preoccupato/a per mio figlio e non so cosa fare. Ho provato a consigliargli un percorso psicologico, ma si rifiuta.”
Le tre opzioni da considerare
Di fronte a una situazione simile, ci sono tre opzioni da considerare:
1. Il rifiuto del trattamento
Se una persona non vuole farsi curare, non è possibile, salvo casi particolari e delicati, obbligarla a intraprendere un percorso psicologico o psicoterapeutico. Questo significa che, nel contesto privato, non si può forzare una persona a seguire una terapia. Fa eccezione il contesto pubblico, dove, in situazioni estreme, può essere attivato un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Tuttavia, si tratta di casi limite.
Nel contesto privato, quindi, uno psicologo o uno psicoterapeuta non ha alcun potere di costringere qualcuno a iniziare una terapia. Deve essere la persona stessa, volontariamente, a chiedere aiuto.
2. Coinvolgimento delle persone significative
Quando qualcuno, ad esempio un familiare, chiama uno psicologo per chiedere aiuto — come nei casi citati sopra — è possibile lavorare con il contesto sociale o familiare per convincere la persona dell’importanza di rivolgersi a uno psicoterapeuta.
Si possono, ad esempio, prendere contatti preliminari con lo psicologo per ricevere informazioni su come funziona il trattamento e poi presentare queste informazioni alla persona che si vorrebbe aiutare. In questo modo, si può invitare il diretto interessato a prendersi cura di sé in maniera più organizzata e strutturata.
Tuttavia, se anche questo approccio non funziona e il “paziente designato” rifiuta ancora il trattamento, rimane una terza alternativa.
3. Intervento indiretto — la terapia “in contumacia”
Questa opzione prevede che non venga preso in carico il paziente designato (ossia la persona con la difficoltà), ma il suo sistema di riferimento, cioè le persone a lui/lei vicine. Ad esempio:
- Nel primo caso, la figlia.
- Nel secondo caso, il/la partner.
- Nel terzo caso, i genitori.
Si lavora con chi chiede aiuto, utilizzando il sistema familiare come “porta d’accesso” alla situazione e alla patologia. In pratica, attraverso cambiamenti nel contesto e nel sistema in cui il paziente designato è inserito, si cerca di favorire il miglioramento del benessere della persona stessa.
Questo approccio, pur essendo delicato, può risultare efficace. Spesso non si tratta di una vera e propria psicoterapia nel senso classico, ma di una consultazione o di un intervento mirato a innescare quei cambiamenti necessari affinché il sistema familiare diventi un sostegno attivo per chi sta soffrendo.
L’impatto del disagio psicologico sulle dinamiche familiari
Non dimentichiamo che una persona con un grave disagio psicologico impatta fortemente sull’equilibrio e sulle dinamiche familiari, creando un clima di preoccupazione, tensione, rabbia o risentimento. La patologia, infatti, altera profondamente il funzionamento del sistema familiare.
Conclusioni
Se una persona non vuole farsi curare e rifiuta un trattamento psicologico o psicoterapeutico, è comunque possibile intervenire sul sistema di riferimento. Questo permette al contesto familiare di attivarsi per fornire il sostegno necessario al miglioramento del benessere dell’individuo.
Anche se questa non è la prassi canonica, è un approccio particolarmente utile nei casi in cui il diretto interessato, che sia un figlio, un genitore o un partner, si rifiuta di chiedere aiuto. In tali situazioni, il sistema circostante può giocare un ruolo chiave nel favorire il cambiamento e il miglioramento.