Parliamo di crisi di coppia alla nascita di un figlio, all’arrivo di un pargolo, quando un bebè entra nelle nostre vite. Lo facciamo in una maniera un po’ diversa, cercando di approfondire elementi e tematiche legate principalmente agli errori dal punto di vista maschile, cioè del papà. Questo articolo non vuole esprimere giudizi, non ho l’idea o so cosa significhi essere un padre perfetto. Questo ovviamente no, però alcune cose le ho imparate, sia dall’esperienza personale sia dai racconti delle persone che vengono da me in terapia, quindi dai percorsi di analisi che abbiamo fatto. In questo articolo ho messo insieme quelle che, secondo me, sono le principali criticità, le principali fatiche, i principali errori di pensiero e aspettativa che, in qualche modo, si incastrano con la vita di coppia. Ovvero le aspettative, le credenze e le idee che i papà possono avere rispetto al diventare genitori e che, se non ben gestite, possono aprire una potenziale crisi di coppia. Ce ne sono tantissime, potenzialmente infinite, ma ne ho individuate tre che, secondo me, sono le più frequenti.
1. La Gelosia Verso il Figlio
Sviluppare una sorta di gelosia nei confronti del neonato, che ovviamente diventa il catalizzatore di tutte le attenzioni, sicuramente della propria compagna, della propria famiglia, dei nonni, dei suoceri, degli amici, degli zii, eccetera eccetera. Può capitare che il papà si senta isolato, messo in secondo piano, o messo da parte, e fatichi a essere visto. Razionalmente non si permetterebbe mai di criticare apertamente questa cosa, ma dall’altro lato, anche se di testa lo sa, la pancia racconta altro. La pancia dice: “Sì, però ora tutte le attenzioni sono rivolte a lui o a lei, al bimbo, ora esiste solo lui o lei, io sono sostanzialmente messo tra parentesi, e questa cosa non mi va bene.” Questo innesca tutto un sentimento di rancore, più o meno esplicito, più o meno diretto, verso il neonato o verso la partner, la mamma, la moglie, insomma la compagna. Da lì si innescano dei potenziali rischi, perché diventa un punto di vista ovviamente egoistico. Da un lato si vede e si comprende la novità, il bisogno di novità, dall’altro ci si sente in difetto nel poter manifestare questa emozione. Ci si sente magari sbagliati, egoisti. Tuttavia, proprio perché questa cosa non viene trattata o esplicitata, rischia di sedimentare e poi evolversi, trasformarsi, incancrenirsi all’interno della coppia. Razionalmente si sa che il neonato richiede molte attenzioni e che la mamma sta affrontando un momento estremamente difficile e complicato, e ha bisogno di supporto e aiuto. Però dall’altro lato c’è sempre questa vocina in testa che chiede: “Sì, e io? Io cosa posso fare? Dove sono stato messo? Che senso ho? Che ruolo ho? Sono solo colui che esce al mattino e rincasa la sera, e deve stare nell’angolo perché non deve dare fastidio, perché sono tutti stanchi, perché sono tutti concentrati, perché adesso il bambino sta dormendo, perché adesso lei ha bisogno di riposare, e via discorrendo.” Qui si crea quella separazione, quel parallelismo tra una parte cognitiva che capisce tutto questo e una parte emotiva che fatica a legittimarsi e esprimersi come vorrebbe.
2. La Riorganizzazione della Propria Vita
Talvolta il padre è meno disposto, rispetto alla madre, a riorganizzare la propria vita e i propri impegni. Non che arrivi a dire “La mia vita alla fine non cambia perché il bambino è responsabilità di mia moglie,” questo si sente veramente raramente, ma nemmeno disposto a rivedere e riorganizzare i propri bisogni e le proprie priorità. Talvolta si innescano delle discussioni importanti riguardo a questo tema. Un esempio: lui ha sempre avuto il pallino del tennis o della palestra, e ha sempre saputo prendersi tre o quattro ore a settimana per fare il suo allenamento. Da un lato dice: “Va bene, ora ho finito il lavoro, ho bisogno di staccare, vado in palestra.” Dall’altro lato, la moglie o la compagna lo critica, dicendo: “Ma come è possibile? Io sono qui con i capezzoli che vanno a fuoco, non dormo da una vita, vado in giro sporca di rigurgito e non mi riesco a pettinare da una settimana o da mesi, e lui ha il tempo per andare in palestra?” Razionalmente, anche lei sa che è un suo diritto andare in palestra, ma dall’altro lato se ne risente, perché dice: “Siamo genitori in due, però sembra che il carico, principalmente emotivo, lo abbia addosso io, e questa cosa mi fa percepire te come poco interessato, poco disponibile, distante.” Allora lui risponde: “Va bene, allora rinuncio alla palestra e prendi tu un’ora per te stessa.” Ma lei non sa nemmeno da dove partire per prendersi un’ora per sé. Si innesca così un risentimento, dove c’è questo gap tra ciò che razionalmente sappiamo essere legittimo e giusto, e ciò che invece sentiamo di pancia, che poi diventa un tema di discussione all’interno della coppia.
3. La Divisione dei Compiti
L’idea che i compiti debbano essere divisi 50 e 50, soprattutto quando il bambino è appena nato, non funziona così. La cura, l’aspetto di nutrimento, indipendentemente dalla scelta di nutrizione (seno, formula, ecc.), e l’aspetto fisico di contatto, sostegno, protezione e dipendenza, il bambino li riceve principalmente dalla mamma. Molte volte il padre sviluppa questo sentimento di inutilità: “Bene, ma io a cosa servo? Cosa posso fare? Mi ero messo in testa che avremmo fatto 50 e 50: una volta lo addormentavi tu, una volta io.” Ma con i figli, soprattutto quando sono molto piccoli, questa cosa non funziona. Il papà può fare tante altre cose, che però non vede perché si risente del fatto di non poter avere un rapporto paritario, paritetico, con il bambino, come invece ha la mamma. Perché buona parte dell’attenzione del papà non dovrebbe concentrarsi principalmente sulla cura del bambino, anche se è possibile fare qualcosa. Il papà deve capire che il suo principale obiettivo, il suo target di interesse e premura, dovrebbe essere la madre, la compagna, la moglie, la persona che ha dato alla luce il proprio figlio. Perché quella persona ora si sta mettendo tra parentesi per far star bene il bambino, per far star bene il neonato. Il ruolo del padre diventa quindi non solo quello di provare ad accudire il figlio, per quanto possibile, ma anche di veicolare le proprie attenzioni, la propria cura, tutela e protezione non solo verso il figlio, ma soprattutto verso la madre. È così che si chiude il cerchio della famiglia, è così che ognuno trova il proprio ruolo, la propria capacità di espressione e necessità di riconoscimento.
Conclusioni
Questi sono solo tre dei temi, ovviamente ce ne sono altri, tuttavia queste sono le tre cose che mi capita di vedere più frequentemente e che, in qualche modo, creano questo disallineamento tra ciò che razionalmente capiamo e ciò che emotivamente sentiamo, viviamo e proviamo. Questo articolo vuole avere lo scopo, insomma il desiderio, di provare a riallineare testa e pancia, in modo tale da capire in che direzione muovere le proprie cure, il proprio interesse, le proprie emozioni, per chiudere il cerchio della famiglia.