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Ansia alla guida

Parliamo di ansia al volante: preoccupazione alla guida, agitazione e panico, paura quando ci si trova su un mezzo di trasporto – nello specifico, l’automobile.

Capita sempre più spesso, soprattutto in periodi di vacanza come questo, di ricevere telefonate che suonano più o meno così:

«Sono sempre stata una persona abbastanza ansiosa, ho sempre avuto qualche difficoltà alla guida, però ultimamente stare in autostrada – quindi su strade a veloce percorrenza – piuttosto che in colonna o in galleria, mi scatena proprio un attacco di panico. Mi sento particolarmente agitata, vado in confusione, e quindi evito, faccio il possibile insomma per non espormi a situazioni di questo tipo».

Ovviamente, con tutte le ripercussioni che questo può avere sulla vita quotidiana.

«Sono sempre stata una persona molto libera, a cui piaceva viaggiare, eccetera, ma ultimamente, a causa di un episodio spiacevole – un incidente, o senza un motivo preciso – ho iniziato a sviluppare questa ansia. Siccome nel mio lavoro, o nelle mie ferie, è previsto che io debba spostarmi in auto o fare progetti che comportano viaggi, sono nel pallone e non so che fare».

Ansia alla guida: agorafobia o claustrofobia?

Di cosa si tratta? Di ansia, sicuramente. Ma è sul versante agorafobico, quindi legata più alla paura di “andare”, detta in soldoni? O sul versante claustrofobico, cioè la paura di restare costretti all’interno di un luogo?

La risposta non è semplice. O meglio: potrebbe essere entrambe le cose. Non è il sintomo, per definizione, che può essere utilizzato per comprendere quale sia la patologia, bensì il significato che quel sintomo assume.

Quindi è importante riuscire a disambiguare questi temi e i significati che stanno dietro al disagio vissuto.

Esempi pratici di ansia al volante

Faccio un esempio. Se la sensazione di disagio alla guida è sempre la stessa – ad esempio, una forte ansia nel percorrere un’autostrada, o una sensazione di soffocamento e agitazione quando si resta imbottigliati nel traffico o in colonna – oppure se si è in allerta, quindi la persona non sta vivendo quella situazione nello specifico ma l’idea potenziale di potercisi trovare modifica comunque il suo comportamento (optando magari per la rinuncia allo spostamento o per farsi accompagnare da qualcuno), allora bisogna cercare di capire qual è il significato sottostante.

Ipotesi claustrofobica

Se ragioniamo sul versante claustrofobico, legato cioè alla paura di rimanere costretti in un luogo, la colonna, la galleria o anche la strada a veloce percorrenza possono essere indicatori che la persona prova disagio in situazioni in cui non può evadere, non può allontanarsi immediatamente quando percepisce un malessere.

L’idea di rimanere in questa “scatoletta di metallo” che è l’automobile, magari all’interno di una galleria, e star male senza potersi fermare né scappare, o restare imbottigliati in colonna e non poter abbandonare l’auto, genera ansia. Questa è l’ipotesi claustrofobica.

Ipotesi agorafobica

Se però gli stessi sintomi li osserviamo da un punto di vista agorafobico, quindi come paura degli spazi aperti, dell’“andare”, allora cambiano i significati.

Ad esempio, una persona con agorafobia potrebbe sentirsi a disagio in una strada a veloce percorrenza perché questa la porta troppo lontano dalla sua “base sicura”, dalla sua zona di comfort, dalla sua casa. Allontanarsi oltre un certo raggio può scatenare panico, ansia, agitazione.

Oppure rimanere in colonna può dare fastidio non tanto per l’imbottigliamento in sé, quanto per l’impossibilità di ricevere aiuto nel caso in cui si stia male. Il pensiero è: “Se sto male, cosa succede? Sono qui da solo/a”.

Quindi, nonostante il sintomo a un livello superficiale sia lo stesso, il significato sottostante può essere completamente diverso.

Come affrontare l’ansia alla guida

Cosa si fa in questi casi? Oltre a ricorrere, ovviamente, a un percorso di psicoterapia – che può essere una delle vie per affrontare questo tipo di disturbo – si parte sempre dalla disambiguazione dei significati.

Cioè, al di là del sintomo che viene raccontato (che è importantissimo per iniziare ad avere una prima idea del problema), bisogna subito cercare di capire qual è il “sottostante”: il significato del sintomo.

È più legato all’idea di costrizione, di non poter evadere o scappare? Oppure è più legato all’idea di non poter chiedere aiuto, di essere soli in un mondo potenzialmente pericoloso?

La consultazione clinica e l’intervento psicoterapeutico

Non è semplice. Spesso, quando si fa questa domanda, se è troppo diretta, si riceve una risposta vaga, come: “Entrambe, dottore…”.

In realtà, non è sempre “per forza entrambe”. Possono coesistere, certo, ma io adesso sto semplificando per spiegarmi meglio.

Durante la fase di consultazione – di cui mi avete sentito parlare tantissime volte – il terapeuta (in questo caso, io) cerca di comprendere quali siano i significati prevalenti, conscio del fatto che possono esserci anche sfumature o contaminazioni da altri aspetti, soprattutto se il problema si è cronicizzato.

È fondamentale però riuscire a intercettare i significati sottostanti, perché in funzione di questi viene strutturato il piano di intervento.

Quindi, non facciamo di tutta l’erba un fascio. Dire semplicemente “ansia alla guida” non basta: si tratta di un disturbo d’ansia, certamente, ma va collocato. È più claustrofobico o più agorafobico? Perché l’intervento cambia completamente a seconda della risposta.

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