La teoria del trauma è spesso un abbaglio che viene preso sia dai terapeuti che dai pazienti. Lo stereotipo comune è che tutto debba essere ricondotto a: traumi o al rapporto con la madre.
I traumi esistono, ci sono esperienze, definite traumatiche che rientrano in quegli episodi che scuotono la persona. Naturalmente in questo rientra un importante livello di soggettività: ci sono traumi evidenti, come subire un furto, ed altri che assumono un significato personale.
Non tutti i traumi determinano una patologia, il trauma è un fattore di rischio.
Se si pensa, si lega, il proprio pensiero troppo all’idea di trauma si rischia di mettere degli errori: diverse persone in terapia dicono “soffro di .. ma non ho mai vissuto traumi” tuttavia non sempre è presente un trauma manifesto.
Un ulteriore rischio, qualora un trauma sia realmente presente, è legare ogni osservazione al trauma stesso, legare ogni evento di vita, emozione e sensazione al trauma passato.
La teoria del trauma ha naturalmente senso di esistere nella misura in cui si rispettino delle caratteristiche precise e definite, criteri diagnostici. E’ facile comprendere il nesso di causalità tra trauma ed emozione vissuta, non è altrettanto semplice risolvere tale collegamento.
Il rischio maggiore si riscontra quando ogni sintomo, problema esistenziale, viene connesso ad un ipotetico trauma. Ciò che si può utilizzare, invece, per interpretare le cause che determinano i problemi attuali sono i significati.
Quali valori la persona attribuisce?
Quali significati utilizza per leggere il mondo?
Come, il sistema valoriale costruito nella famiglia d’origine, permette di costruire le relazioni?
E’ attraverso questa chiave di lettura che il trauma assume significato, la teoria del trauma è fondamentale da tenere presente, conoscere e approfondire ma è altrettanto rischiosa se generalizzata poiché catalizza ogni valore e significato.