Qual è la durata di una terapia? Qual è il ruolo che il paziente ha nella durata della terapia e come può essere strutturata e modulata la terapia stessa?
La prima domanda che un paziente si fa è quanto durerà il percorso, indipendentemente dal fatto che il paziente lo chieda io ci tengo a precisare quanto potrebbe durare l’intervento. Questo è utile per porsi degli obiettivi sia in termini di raggiungimento che di impegno temporale che appunto il lavoro può richiedere. Ci sono diversi aspetti che hanno a che fare con la durata della terapia: innanzi tutto l’aspetto sintomatologico, il ruolo che il paziente può assumere, quindi il ruolo decisionale nella durata della terapia ed infine il tipo di formato che la terapia può assumere.
Dal punto di vista dello psicologo la durata della terapia può essere suddivisa in diverse fasi, tempi. Va considerato innanzi tutto il momento in cui il paziente si presenta nella stanza di terapia con un sintomo o un problema esistenziale da risolvere. Chi arriva dallo psicologo psicoterapeuta si trova, generalmente, in una zona rossa in una fase quindi di acuto che lo mette in difficoltà rispetto la vita di tutti giorni. Il primo step importante per quanto riguarda la terapia è quindi uscire dalla zona rossa, lavorare sul rientro dei sintomi. Questo determina l’obiettivo minino e la durata minima dell’intervento. Il primo mandato dello psicoterapeuta è quello di aiutare la persona traghettandola oltre questa zona rossa e questo determina la durata minima del percorso.
Il secondo aspetto importante è la volontà del paziente: una volta traghettati al di là della zona rossa, il paziente sta meglio, è libero di scegliere che profondità dare alla terapia, quindi quali aspetti, cassetti, aprire o se fermarsi con ciò che ha ottenuto ovvero la remissione dei sintomi. Alcuni pazienti infatti preferiscono non andare oltre e terminare una volta superata la fase acuta, altri invece vogliono approfondire e aprire nuovi capitoli. Il paziente ha sempre un ruolo fondamentale nella durata della terapia perché si deve andare a distinguere tra il motivo per cui il paziente viene e quelli che possono essere poi i motivi successivi che si aprono e che emergono durante il lavoro di terapia. Quindi se da un lato il primo mandato dello psicologo è quello di riuscire a risolvere la fase acuta, il secondo è quello di andare a contrattare con il paziente quelli che possono essere ulteriori argomenti di indagine. Da qui arriviamo quindi al terzo aspetto, ovvero la modularità del percorso. Ci possono essere interventi brevi ma efficaci ed interventi più lunghi, difficilmente una persona che ha effettuato 2030 colloqui non ha risolto la fase acuta, probabilmente sta affrontando altri temi, altre aree, emerse. Il primo mandato è affrontare la fase acuta ed eventualmente successivamente aprire anche ad altri argomenti che dal punto di vista clinico professionale sono utili per il miglioramento del benessere della persona.