“Dottore, mio figlio ha bisogno di aiuto ma non vuole intraprendere un percorso di terapia”.
E’ una domanda che ricevo spesso e porta a molte riflessioni. Innanzitutto se il ragazzoa è maggiorenne non lo si può obbligare, tanto meno è il professionista che può andare a recuperarloa a casa.
E’ importante rispettare la volontà stessa della persona che probabilmente è conscia del disagio ma non è ancora pronta ad accettarlo.
cosa si può fare?
come si può aiutare chi non è pronto ad essere aiutato?
E’ bene innanzitutto non cadere nel tranello dell’ambivalenza per cui il ragazzo è adulto per la legge ma non nella vita: questa è una terra di mezzo che determina dei rischi. Innanzitutto quello di delegare, adultizzare, il figlio e non riuscire ad aiutarlo per come un ragazzo ha bisogno. All’opposto c’è il rischio di considerarlo ancora bambino e non considerare nemmeno la differenziazione e autonomizzazione che la fascia d’età 1819 anni prevede.
Quando ci si accorge del confine labile tra autonomia e dipendenza ed il ragazzo non riesce a farsi aiutare il primo step da considerare è farsi aiutare come genitori o come famiglia.
Ci sono molti approcci e strategie che possono essere utilizzate quando è la coppia genitoriale, o un genitore, a prendersi carico di questa responsabilità. Si chiama terapia in contumacia: colui che porta il disagio non presenzia nella stanza, oltretutto, attraverso la terapia stessa si modifica il mondo attorno a colui che porta la difficoltà e non è presente.
Quando un ragazzo non è disposto a chiedere aiuto avere nella stanza di terapia i genitori diventa uno strumento potete:
- i genitori si assumono la responsabilità genitoriale;
- lascia il ragazzo libero;
La terapia in contumacia prevede che il sistema famiglia si muova e permetta di innescare il cambiamento, non delegando o attribuendo la responsabilità ad un bambino eo ragazzo.