Il linguaggio è uno strumento di costruzione della realtà, alterazione della realtà e talvolta semplificazione della realtà. Quando scegliamo i termini per rappresentare la nostra realtà, posto che uno stesso termine può avere sfumature di significato differenti per ognuno di noi, sto andando ad influenzare quella realtà e, in alcuni casi, anche a semplificarla. Perchè parlo di semplificare? Perchè le etichette sono proprio questo, una semplificazione – talvolta negativa, talvolta si riduce addirittura ad uno stereotipo.
Questo concetto emerge prepotentemente se si parla di etichette in ambito psicologico e psicoterapeutico. Le etichette, lungi da me l’essere polemico, non hanno alcun valore dal punto di vista della cura: sono molto utili, però, per comunicare con altri professionisti, semplificando appunto la conversazione, o per far meglio comprendere al paziente di cosa stiamo parlando.
Ciò che è importante ricordare è che il paziente, la persona che abbiamo di fronte nella stanza di terapia, NON è la sua etichetta, non è la sua diagnosi: è una persona, appunto! Una persona fatta di dubbi, fatiche, sintomi che hanno alcune caratteristiche riconducibili ad un “contenitore” comune. L’etichetta può essere utile per creare un codice condiviso, una lingua comprensibile a paziente e terapeuta. La verità è che poi ogni paziente è come un dialetto e il terapeuta deve imparare a comprendere cosa, per lui o per lei, l’etichetta significa.
Se quindi le etichette possono risultare utili per inquadrare un contesto, è anche vero che possono diventare pericolose se date in mano a persone che non sanno bene cosa farsene. Proseguendo con la metafora della lingua ogni persona schizofrenica, per quanto inquadrata all’interno della lingua “schizofrenia”, parla un dialetto estremamente diverso dall’altra perchè esiste una variabilità enorme di sintomi e caratteristiche all’interno di questo stesso disturbo. Con altri disturbi la questione è un po’ più semplice ma è inevitabile, per il terapeuta, fare un lavoro sartoriale su ogni paziente, ogni persona che si trova davanti.
C’è un altro rischio che si corre nell’utilizzare etichette diagnostiche ed è il seguente: il paziente, conosciuta la sua etichetta, tenderà ad aderirvi. In che modo? Il paziente sarà condizionato a vedere e sviluppare sintomi specifici che prima non vedeva o non percepiva come sintomi. Questo lo facciamo tutti: se ci viene diagnosticato il tunnel carpale andremo a cercarne i sintomi online e improvvisamente riconosceremo di averli tutti. Lo stesso accade a pazienti cui viene appiccicata addosso un’etichetta (potremmo citare come esempio quella di DOC – disturbo ossessivo compulsivo) con troppa leggerezza: d’un tratto le compulsioni e le ossessioni andranno ad aumentare.