Come fai a fare lo psicoterapeuta e non farti toccare da tutti i problemi, tutte le storie e difficoltà che le persone raccontano?
Come fai a chiudere la porta e andare a casa leggero?
Queste sono state domanda che negli anni mi hanno posto in molti – e io stesso mi sono fatto -, così come mi chiedevo come avrei fatto a resettarmi tra un colloquio e l’altro, come essere pronti per il colloquio successivo quando il precedente è stato particolarmente complicato. Sono domande che ti poni spesso anche dopo aver terminato gli studi ed essere abilitato a questa professione.
La mia esperienza raccolta nel tempo
Quello che ho capito, dopo qualche anno, è che non si deve combattere, osteggiare le storie e le emozioni che i pazienti portano. Non si deve fare muro e tenere tutto fuori. È necessario invece immergersi, ci si deve poter far attraversare delle storie dei pazienti e ci si deve contaminare con quello in modo tale che l’emozione, la storia, le difficoltà dei pazienti attraversino il terapeuta e questo sia in grado di comprendere le emozioni che il paziente vive.
Solo tramite l’attraversamento, la non resistenza alla storia e alle emozioni che il paziente porta, il terapeuta è davvero in grado di comprendere. Spesso di conseguenza il terapeuta prova una forte empatia e forti emozioni ma al tempo stesso si deve essere capaci di lasciare andare come un lungo e lento scorrere continuo che ad un certo punto ripulisce da solo.
La “decompressione” avviene naturalmente a fine giornata e tra una seduta e l’altra con i minuti di pausa tra un paziente e il successivo. Per fare questo, cosa apparentemente semplice, è necessaria una grandissima conoscenza di sé stessi, grande sincerità, solo se il terapeuta comprende cosa gli sta succedendo emotivamente e nelle reazioni del corpo allora può poi, a fine giornata, lasciare scorrere.