“Dottore, come si fa a trovare l’equilibrio tra la vita professionale e la vita familiare?”

La vita privata non è affatto semplice. Dovremmo approfondire tutte le diverse possibilità e gli incastri tra vita professionale e vita privata. In questo, nello specifico, ragioniamo sulla vita professionale e sulla vita familiare, cioè dove si presume o si prevede che ci sia un partner, e magari dei figli o meno.

Dimensione individuale e dimensione relazionale

Ci sono diversi pensieri da fare, ma provo a semplificare ragionando principalmente su due livelli distinti:

  1. La dimensione individuale della persona.
  2. La dimensione relazionale della persona.

La dimensione individuale

Partiamo dalla dimensione individuale, che già è un bel pezzettino. Se non riesci a trovare un equilibrio di questo tipo, devi considerare principalmente due cose, facendo riferimento a questi due elementi:

La vita professionale

Sentiamo spesso dire: “La vita professionale mi piace, è ciò che desidero al di là del costo che pago, quindi nella fatica, nell’impegno, nella dedizione che metto. Magari faccio dei turni particolarmente lunghi, magari il luogo di lavoro è particolarmente lontano, quindi il trasferimento è dispendioso. Magari ci sono dei momenti di particolare stress, magari sono costretto a vivere dei momenti lontano dal mio luogo perché vado in trasferta”. “Insomma, ogni lavoro ha le sue caratteristiche. Mi piace, cioè è ciò che voglio fare. Quando mi alzo la mattina mi sento bene, sono carico, sono entusiasta, ho voglia di affrontare la giornata, ho voglia di vedere cosa la giornata mi riserva. Quindi, al di là della fatica, il costo che io pago è inferiore al benessere che ottengo.”

Il benessere lavorativo non vuol dire relax, benessere vuol dire soddisfazione personale, soddisfazione economica, riconoscimento sociale. Per ognuno possono essere diversi questi aspetti.  Per esempio, lo psicoterapeuta si presume lavori per fare questo, anche perché sceglie una professione di aiuto.

Per parlare della mia esperienza, è chiaro che ci sono delle volte in cui è faticoso, emotivamente soprattutto, perché magari si sentono storie particolarmente dense, particolarmente dolorose, magari difficili da gestire. Magari più storie di quel tipo all’interno della stessa giornata possono suscitare un grande carico. Capita a volte di tornare a casa pieni di pensieri.  Molte volte le emozioni sono anche negative, sono anche pesanti, un po’ d’ombra. Ecco, è in quel momento che uno si dice:” però mi piace”.  Certo, il costo da pagare è questo tuttavia il vantaggio è che aiuto le persone, penso di poter essere utile, faccio del bene, mi sento utile.  È faticoso stare otto ore seduto su una sedia, ascoltare la storia della persona e cercare di aiutarla. Dopo un po’ diventa anche fisicamente pesante, perché si sta praticamente fermi immobili su una sedia. Però, al di là della battuta, è chiaro che è un lavoro pesante. Sì, è pesante, ma mi piace, assolutamente sì. È un lavoro che amo e che, nel momento in cui mi alzo, ho voglia di fare. Non vedo l’ora di fare, nel senso che poi quando è domenica, lunedì di solito lo vivo benissimo. Dico “voglio andare in ufficio, conoscere nuove storie, approfondire, cercare di capire, rendermi utile”. E ognuno deve trovare un po’ questo bilanciamento.

La vita privata

C’è successivamente il punto di vista privato individuale, ovvero il mio lavoro mi permette di avere l’equilibrio privato che io desidero?  Ora, anche qui non c’è un giusto o uno sbagliato sull’equilibrio privato. C’è chi rinuncia alla vita privata perché rende il lavoro la sua passione, quindi non si capisce bene quando lavora, quando non lavora, quando si sta riposando, quando sta approfondendo. Dall’altro lato, ci sono persone che desiderano altro, desiderano magari avere un momento chiaro e netto in cui la giornata lavorativa si interrompe. Poi vanno in palestra, fanno una corsetta, fanno l’aperitivo con gli amici, dicono “adesso mi metto qui, mi preparo una tisana, leggo un libro, oppure accendo Netflix perché voglio vedere l’ultima serie”. Però c’è una parte per cui devono avere chiaro in testa che il lavoro è finito e ora ci si può dedicare ad altro. Anche qui non c’è giusto o sbagliato, ma la domanda è: ti piace, ti soddisfa, ti appaga? È ciò che desideri? Cioè, nel tuo intimo, come individuo, sei soddisfatto di quello che ti dà il tuo lavoro e sei soddisfatto di quello che ti dà in termini di vita privata, cioè dello spazio che hai, indipendentemente da quanto questo spazio sia ampio? Perché per alcuni, come dicevo, è importante così, e per altri serve magari più spazio per poter staccare.

Se le risposte in entrambi i casi sono positive, allora siamo a cavallo e andiamo sulla dimensione di coppia, qualora invece le risposte sono no, o una delle due è no, allora lì si può già intervenire. Intervenire non è solo a fini individuali, ma è anche a fini familiari, di coppia o genitoriali, perché l’insoddisfazione poi del primo, dell’individuo, del papà, della mamma, del marito, della moglie, inevitabilmente si ripercuote sulla famiglia.

La dimensione familiare

Quando ci spostiamo sulla dimensione familiare, e qui ì non è così rilevante la presenza dei figli o meno, ma è rilevante la presenza di una famiglia, allora dobbiamo ragionare su altri aspetti: quanto e come impatta il mio lavoro sulle aspettative della mia famiglia e sulla qualità di vita nella mia famiglia?

La qualità di vita della famiglia deve essere definita in funzione dei bisogni e dei criteri della famiglia stessa. Faccio un esempio: per una famiglia può essere rilevante, ad esempio, lo status sociale, o il benessere economico. Per un’altra può essere rilevante il tempo trascorso insieme, la capacità di potersi organizzare nella gestione dei figli, nel supporto ai figli. Altre famiglie decidono di organizzarsi in maniera molto netta e separata: uno si occupa dei figli, l’altro si occupa esclusivamente del sostentamento. Uno lavora, l’altro no. Anche qui non c’è giusto o sbagliato, o meglio, dal mio punto di vista, giusto è ciò che funziona, a patto che tutti siano felici del ruolo che occupano e del contributo che portano.

Va da sé che se uno dice “voglio essere un padre iper presente, voglio tornare a casa, trovare il tempo per giocare con i miei figli, portarli a fare sport, metterli a letto la sera”, e poi lavora dall’altra parte del mondo e sta via tre mesi, questa cosa non è fattibile. Possiamo raccontarci quanto vogliamo che ci sarà l’impegno, l’amore, la dedizione quando sarà presente, ma poi nella pratica questa cosa non è possibile. Lì si deve trovare un equilibrio: a cosa sono disposto a rinunciare? Su cosa mi concentro? Qual è il punto di vista del mio partner rispetto a questa cosa? È chiaro nella sua testa che, essendo una squadra, dobbiamo essere d’accordo in due. Molte volte capita che le persone arrivano in terapia e dicono “io mi occupo economicamente della famiglia”, e magari la moglie dice “sì, però io mi occupo a 100%, lavoro e mi occupo al 100% dei figli”. “E perché io sono via, però con il mio stipendio riusciamo a vivere meglio, riusciamo a fare di più”. Può essere vero, e magari la moglie riconosce anche questo e dice “sì, è vero, le vacanze o la qualità di vita che viviamo ce la possiamo permettere grazie al tuo lavoro, ma è quello che ci serve in questo momento? Possiamo fare una vacanza in meno, ma magari condividere insieme tutte le cene, o stare insieme il weekend, o leggerti, ad esempio, la favola della buonanotte con i tuoi figli, o fare i compiti con loro quando tornano a scuola”.

Anche qui non c’è giusto o sbagliato. La persona deve capire che nel momento in cui si ha una relazione familiare, le scelte professionali non sono più individuali, sono sempre di coppia, e la coppia deve essere d’accordo. Altrimenti, siccome ogni coppia si trova ad affrontare qualche tipo di crisi, problema, difficoltà, se non c’è l’allineamento tra i due, è un problema. Un problema enorme in cui rientra anche la famiglia. Ricordiamoci sempre, a patto che alle due domande iniziali (“sei soddisfatto del tuo lavoro e della qualità della tua vita privata come individuo?”) abbiamo risposto sì, perché altrimenti dobbiamo riorganizzare tutto.

L’organizzazione di una famiglia, soprattutto quando prevede più di una persona, diventa complicata. Dobbiamo capire che l’organizzazione della qualità di vita e del lavoro si costruiscono insieme, sui patti reciproci. In alcuni momenti della vita uno deve stare più a casa dell’altro per permettere all’altro di sbocciare, elevarsi, essere riconosciuto. In altri casi, invece, l’altro deve alleggerire il sovraccarico nella gestione dei figli, permettendo all’altro di fare carriera. È una cosa sempre dinamica da riorganizzare. Il concetto fondamentale, oltre alle due domande che ho fatto all’inizio, è che è un problema di sistema, un problema che coinvolge tutti i membri della famiglia e non solo chi privatamente, personalmente, individualmente compie la scelta lavorativa.

Questo spesso non è chiaro quando mi approccio a situazioni familiari che portano questo tipo di contraddittorio, di fatiche, di tensioni in famiglia. Fammi sapere cosa ne pensi. Fammi sapere qual è la soluzione che hai trovato tu, cosa stai provando a trovare, o cosa è stato per te deleterio all’interno della relazione su questo equilibrio tra vita professionale e vita familiare.

A presto.

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