Parliamo di autolesionismo, un comportamento volontario atto a generare un danno a noi stessi sotto diverse forme, con diverse caratteristiche, con diversi criteri che andremo via via ad esplorare.

Diamo qualche numero: partiamo dal presupposto che è una condotta prevalentemente adolescenziale. Le ricerche stimano che circa il 15% di adolescenti ricorra almeno una volta nella vita a comportamenti di autolesionismo, e questa percentuale si abbassa sino al 6% per quanto riguarda la popolazione adulta. Sono dei numeri molto ampi, vuol dire che 15 adolescenti su 100 agiscono, o hanno agito, autolesionismo. Possono sembrare delle statistiche drammatiche. Entrando nel merito e cercando di spiegare che cosa viene considerato clinicamente autolesionismo, riusciamo a dare un senso anche a questo dato apparentemente allarmante.

L’autolesionismo è una condotta più frequente nella popolazione psichiatrica, quindi con diagnosi, ed è spesso associata ad alcune patologie o disturbi. Ad esempio non è infrequente trovare atti di autolesionismo in pazienti con disturbi di personalità borderline, piuttosto che con gravi disturbi ansiosi o dell’umore come ad esempio la depressione maggiore. Cosa determina l’autolesionismo? Come si fa a dire questo è autolesionismo? Ci sono dei criteri: innanzitutto ci deve essere un atto volontario a provocarsi del dolore, delle lacerazioni. Queste possono essere fatte con coltelli, con mozziconi di sigaretta, con fiamme, con qualunque cosa che vada a generare un danno. Questo danno è solitamente caratterizzato da degli scopi, degli obiettivi, ad esempio quello di andare a mitigare o ad alleviare una sensazione, o un pensiero spiacevole; sistemare degli aspetti interpersonali quindi di relazione, che in qualche modo si sente non hanno funzionato; andare a suscitare nella persona delle emozioni positive. Sono solitamente gesti messi in atto a seguito di difficoltà interpersonali, eventuali stress, o traumi vissuti. Sono caratterizzati da una forte intrusività nella testa della persona, nel senso che la persona che compie questo tipo di atto pensa con grande angoscia ed eccitazione all’atto, e pensa all’atto anche nel momento in cui non lo sta compiendo o non lo ha ancora compiuto.

Ne esistono di diversi livelli e di diverse gravità: ad esempio si parla di un autolesionismo di tipo maggiore, nel momento in cui ci sono comportamenti frequenti, ricorrenti, o anche talvolta episodici, di danni inferti al proprio corpo che risultano essere permanenti, i cui segni sono poi portati per sempre. Esistono degli atti di autolesionismo chiamati stereotipati, cioè che apparentemente non sono gravi ma poiché vengono continuamente ripetuti, generano di fatto un danno al corpo: ad esempio c’è chi si gratta continuamente un determinato punto del corpo, si punge o si morsica ecc… Questi sono comportamenti frequenti in altri tipi di problemi, in altri tipi di sindromi, come ad esempio quella di Tourette. Ci sono poi i comportamenti autolesionistici di tipo moderato, ossia sono comportamenti anch’essi frequenti, o episodici che generano un danno superficiale, che col tempo non lascia segni o tracce di tipo permanente. Il discorso rispetto all’autolesionismo è ovviamente più ampio, per semplicità mi riferisco all’autolesionismo come un danno fisico, quindi autoinferto, ma ne esistono anche degli altri: auto avvelenamenti, mettersi nei guai, mettersi in condizioni di pericolo o precarie (gioco d’azzardo,utilizzo di droghe o altre condotte che vengono considerate potenzialmente lesive per la persona, non necessariamente per il suo fisico, ma per il suo benessere).

Esistono diversi significati che l’autolesionismo assume, sono sostanzialmente tre i motivi per cui la persona agisce degli atti autolesivi su se stessa, che sono legati a

  • tentativi o strategie di coping (cioè il tentativo di andare a gestire una emozione): io mi taglio o mi brucio in funzione di andare a regolare delle emozioni che sento essere per me tracimanti;
  • punizioni o tentativi di espiazione di una colpa: la persona si auto punisce, si da una sentenza, una condanna;
  • tentativi di comunicare all’interno del gruppo sociale del quale si fa parte o al rispetto alle figure di riferimento.

Non sono da sottovalutare questi atti, perché è vero che non tutte le persone che compiono atti di autolesionismo poi sfociano in comportamenti suicidari però il passo è breve, nel senso che è altrettanto vero che coloro che poi effettivamente tentano il suicidio, sono prima passati da atti di autolesionismo; è una cosa che deve essere sicuramente valutata con attenzione, sicuramente trattata in un contesto di psicoterapia e devono essere comprese le motivazioni, così da comprendere anche quali possono essere le diverse strategie applicabili per far sì che poi l’atto, indipendentemente da quale significato assume, non debba essere più agito, ma possa essere sostituito da un comportamento costruttivo e funzionale.

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