Bassa autostima e psicologia: uscire dal circolo vizioso

L’autostima si sviluppa nel corso della nostra vita, fin dai primi interscambi del bambino con le sue figure di accudimento, avere una bassa autostima prevede poca fiducia in se stessi e nelle proprie capacità. 

Tra gli elementi che la caratterizzano troviamo la fatica nell’esprimere i propri bisogni e il porsi costantemente sempre in dubbio. 

La bassa autostima, come vedremo, ha una correlazione con sintomatologie depressive e ansiose tuttavia ci chiediamo quale sia la causa e quale la conseguenza: ansia e depressione generano una bassa autostima o viceversa? 

I sintomi di una bassa autostima

Una bassa autostima implica una sensazione di scarsa fiducia in se stessi e nelle proprie abilità. Le sensazioni dominanti sono: incompetenza e inadeguatezza, timore di sbagliare e deludere. La sensazione quindi di sentirsi costantemente in difetto. 

Avere bassa autostima influenza inevitabilmente emozioni, pensieri, comportamento e atteggiamento, inoltre i segnali lanciati da coloro i quali si percepiscono incompetenti possono essere allo stesso tempo plateali ma anche estremamente sottili.  

Quali sono tuttavia gli aspetti principali a cui prestare attenzione? 

Innanzitutto la mancanza di fiducia in se stessi è un elemento evidente e prevalente poiché le persone con poca fiducia in se stesse tendono ad avere una mancanza di autostima e viceversa. Avere fiducia in se stessi porta inevitabilmente ad avere fiducia nel proprio valore, qualora manchi la fiducia inevitabilmente emerge la percezione di incapacità. 

Le persone che hanno una bassa autostima spesso sentono di avere poco controllo sulla loro vita, o su ciò che accade loro, oltre che difficoltà di confronto con gli altri poiché il confronto spesso esita in un’auto svalutazione. 

Avere difficoltà con l’autostima porta con sé anche fatica nell’esprimere i propri bisogni: esprimere dei bisogni ad alta voce chiedendo quindi aiuto può portare la persona a sperimentare disagio e vergogna, a fronte del bisogno di sostegno e aiuto. 

La difficoltà nell’esprimere i propri bisogni fa spesso tandem con la presenza di preoccupazioni e dubbi costanti: dopo aver preso una decisione, la persona con bassa autostima, si chiede in continuazione se la decisione è giusta o sbagliata affidandosi spesso a pareri altrui non fidandosi del proprio punto di vista sminuendolo. 

La persona con bassa autostima difficilmente accetta un commento positivo poiché a fronte di un punto di vista negativo su se stessi difficilmente si coglie e accetta un parere differente. Allo stesso tempo infatti c’è la tendenza nel parlare di se stessi in termini negativi mettendo in evidenza i difetti poiché i pregi non vengono percepiti.  

La paura del fallimento è un elemento fondamentale per comprendere la bassa autostima, non avendo infatti un parere positivo in merito alle proprie abilità coloro i quali mancano di autostima spesso evitano le sfide non dando alcuna possibilità a se stessi. Questo spesso conduce a forme di autosabotaggio poichè il futuro è opaco, nero, e non si vedono possibilità di miglioramento. La paura del fallimento è connessa quindi a forme di autosabotaggio così come al compiacere gli altri, poiché non sentendosi all’altezza di nulla si tende a cercare la conferma di se stessi all’esterno.  Forme di bassa autostima portano da un lato a cercare la vicinanza, conferma e compiacimento altrui così come all’isolamento sociale poiché attraverso di esso ci si sottrae al confronto dal quale si emergerebbe inevitabilmente come falliti. 

Depressione e Autostima sono inevitabilmente connesse l’una all’altra. Depressione e bassa autostima sono fra le cause più diffuse di sofferenza psicologica e spingono spesso le persone a chiedere aiuto ad uno psicologo. Molto spesso depressione e ansia sono connesse a forme di bassa autostima, tuttavia quale dei due è la causa dell’altro? 

Per rispondere a questa domanda prendiamo in considerazione alcuni studi scientifici in merito che confermano, innanzitutto, che tra depressione\ansia e autostima c’è una forte correlazione. 

La depressione è un disturbo dell’umore che prevede la sensazione di non riuscire a svolgere normali attività quotidiane, attività che in precedenza venivano svolte con piacere, oltre che la sensazione di anedonia, stanchezza e apatia. La valutazione di se stessi in modo negativo dettata dalla bassa autostima porta con se fortissimi dubbi, incertezze, domande, rimugini aspetti che ostacolano vivere positivamente la quotidianità. Le insicurezze e i dubbi spesso svuotano, privano di energie psicologiche, situazioni che possono condurre ad emozioni simili alla depressione. 

Le ricerche quindi confermano che un soggetto che ha una visione negativa di se stesso ha infatti più possibilità di cadere in depressione. Viceversa, vi sono minori probabilità che la depressione possa portare alla scarsa autostima. Tuttavia, gli studiosi ammettono che possono esserci delle eccezioni.

Bassa autostima e relazioni: Cosa significa avere una buona autostima in amore? 

Avere una buona autostima in amore significa trovare equilibrio tra il non sentirsi all’altezza quindi sotto-stimarsi e all’opposto sovra-stimarsi eccessivamente: è solo grazie a questo equilibrio che è possibile trovare e costruire un incastro di coppia che permette di essere efficaci in merito agli obiettivi della coppia stessa. 

Possiamo immaginare l’autostima come un continuum, ad un estremo abbiamo un’eccessiva bassa autostima e all’opposto autostima “ipertrofica” quindi alta. Coloro i quali si trovano in quest’ultimo polo spesso non lasciano spazio all’altro e sentono il bisogno di ammirazione e di lode, il partner diventa spesso uno specchio in cui riflettersi. Di contro il partner con una bassa autostima porta nella coppia le proprie insicurezze, aspetti che minano la relazione. Spesso inoltre una bassa autostima può portare la persona a cercare eccessive conferme nel partner. 

E’ importante tenere presente che i meccanismi provocati dalla bassa autostima come il non credere in se stessi danno spesso vita ad un circolo vizioso da cui uscire è spesso complicato: sentirsi incapaci spesso conduce all’isolamento e alla solitudine aspetto che alimenta a sua volta la bassa autostima. Viene generato quindi un meccanismo autoperpetuante. La carenza di relazioni, a sua volta, conduce a tristezza e solitudine e, quindi, a diminuire nuovamente la propria autostima così come avere il timore costante di essere lasciati soli, abbandonati. 

 

 

Cos’è la sindrome da abbandono?

La sindrome da abbandono è un insieme di sintomi e reazioni emotive che si manifestano quando una persona teme di essere abbandonata o respinta dagli altri. Questa sindrome può essere collegata alla bassa autostima, poiché spesso le persone con bassa autostima hanno una maggiore sensibilità al rifiuto e alla perdita delle relazioni

Cause della sindrome da abbandono

Si definisce “abbandono” l’atto di lasciare definitivamente qualcosa o qualcuno, ma è anche sinonimo di rinuncia e trascuratezza. Uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è quello di vivere insieme ai propri simili, è insito nella genetica umana costruire e mantenere relazioni affettive significative. La conseguenza diretta è che la paura e il timore della solitudine e dell’abbandono siano una delle più frequenti sperimentate. 

La paura dell’abbandono, insita nella natura dell’essere umano, porta con sé il timore dell’isolamento, dell’essere soli e dimenticati, di non avere più nessuno che si prende cura di noi. Tuttavia, se durante l’infanzia il bambino ha vissuto il processo di separazione dalla madre e/o dalle figure fondamentali di riferimento con facilità, senza forti scossoni o traumi, in età adulta saprà gestire in modo migliore le varie separazioni (fisiche e psichiche) cui potrà andare incontro, costruire quindi legami affettivi stabili. 

Per approfondire le cause della sindrome dell’abbandono  possiamo evidenziare che questa paura potrebbe essere generata dall’assenza di quel processo che Margaret Mahler ha definito “separazione- individuazione”.  

Questo è infatti un processo intrapsichico costruito da due percorsi di sviluppo che si intrecciano tra loro e che non sempre procedono contemporaneamente. 

“L’individuazione” è quel processo che prevede l’evoluzione dell’autonomia, in particolare autonomia nella percezione, esame di realtà, memoria; si parla invece di “separazione” quando ci riferiamo a quel processo di differenziazione dall’altro, genitore o figura di riferimento, attraverso l’impostazione di confini sani. 

Qualora il processo di “individuazione e separazione” venga interrotto o non si concluda l’individuo sarà in difficoltà nel percepirsi autonomo, capace, autosufficiente e separato dall’individuo che lo ha generato e cresciuto pertanto terrorizzato all’idea di essere lasciato solo.   

Sintomi della sindrome da abbandono

L’ansia da separazione è un elemento estremamente frequente nello sviluppo dei neonati e bambini, raggiunge tendenzialmente il picco tra i 10 e i 18 mesi e potrebbe durare fino ai tre anni del bambino. L’espressione della preoccupazione di essere lasciati soli e abbandonati è estremamente frequente tuttavia diviene problematica quando la sintomatologia persiste per un periodo di 4 anni.   

Ci sono alcuni segnali che rendono riconoscibile la sindrome d’abbandono nonostante non sia così facilmente distinguibile dalla tendenza dei piccoli nell’avere timore di essere lasciati soli. 

L’ipercontrollo e il bisogno di sapere costantemente cosa sta facendo o cosa prova l’altra persona è un aspetto prevalente connesso al tentativo di far sentire l’altro responsabile della propria felicità e\o infelicità quindi ricatto emotivo.  La manipolazione è un’altra tendenza che porta il partner a modificare pensieri e comportamenti a discapito dell’autenticità, in connessione al vittimismo poiché coloro che soffrono di sindrome dell’abbandono tendono, attraverso di esso, ad attirare l’attenzione altrui.  

La sindrome dell’abbandono inoltre prevede alcuni sintomi psicologici, fisici e comportamentali tra i quali:  

  • paura di prendere posizioni nette

  • difficoltà nel prendere decisioni importanti e il bisogno di chiedere consigli in continuazione

  • difficoltà a lasciare 

  • ipersensibilità alle critiche 

  • paura di non essere ascoltati

  • difficoltà nel fidarsi e nello stringere legami affettivi di qualsiasi natura

  • rabbia e attacchi d’ira 

  • attacchi d’ansia e di pianto 

Diagnosi e trattamento della sindrome da abbandono

Per effettuare una diagnosi di Sindrome dell’Abbandono è fondamentale rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta nonché ad un centro esperti in questo. Non esistono infatti test costruiti ad hoc tuttavia ci sono forme di test utilizzabili allo scopo. In associazione a ciò è importantissimo affidarsi ad un percorso di terapia grazie al quale sperimentare una relazione, la relazione terapeutica, in cui sentirsi al sicuro nell’esplorare le proprie emozioni. 

Processo diagnostico della sindrome da abbandono e opzioni di trattamento

Non esistono dei veri e propri test diagnostici per la sindrome da abbandono, tuttavia lo psicologo ha a disposizione alcuni strumenti che possono essere utili nell’osservare dinamiche relazionali ripetitive e rigide. 

In questo senso il colloquio clinico e la relazione paziente-terapeuta si rivelano preziosi strumenti, che permettono di esplorare come ci si rappresenta in relazione all’altro, ma anche l’emergere di specifiche dinamiche relazionali. Alcuni momenti del percorso di terapia, come ad esempio allungare il tempo tra un colloquio e il successivo, possono infatti portare il paziente a sentirsi abbandonato. 

Un eventuale modalità per effettuare un test per la paura dell’abbandono è la valutazione dello stile di attaccamento, che negli adulti viene realizzata attraverso strumenti come l’Adult Attachment Interview. Questo è uno strumento realizzato da George, Kaplan e Main (1987) ed è un questionario semi-strutturato in cui si registrano delle interviste che saranno classificate secondo diversi parametri. Attraverso questo strumento sono stati definiti tre modelli di rappresentazione interna del sé e delle figure di attaccamento in età adulta. 

Risulta tuttavia fondamentale rivolgersi ad un professionista, psicologo psicoterapeuta, per effettuare un percorso di psicoterapia che incoraggia l’emergere di determinati contenuti e processi. Attraverso la psicoterapia si può portare alla luce i pattern relazionali interiorizzati delle prime esperienze significative, per esempio con i propri genitori all’interno del proprio ambiente di vita e come questi poi sono stati replicati in età adulta. Questi legami possono essere compresi, approfonditi e rivissuti grazie alla relazione terapeutica, esperienza emotiva fondamentale. 

Grazie allo stabilirsi della relazione terapeutica è possibile creare uno spazio in cui concedersi affetti difficili da raccontare, prima inconsci. E’ possibile infatti affrontare la paura di perdere una persona, come superare l’abbandono presunto e aspettato e le emozioni conseguenti, facendo affidamento sulla relazione sicura con il terapeuta. 

Grazie alla psicoterapia inoltre si possono ristrutturare confini sani nelle relazioni che permettono di evitare forme di co-dipendenza, ovvero comportamenti tesi alla ricerca di compiacimento, aspetto che ostacola la creazione di relazioni sane. 

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